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Parasite

Film di Bong Joon-ho, 2019

Una famiglia che vive nei sobborghi squallidi di una città della Corea del Sud, attraverso una serie di raggiri, riesce ad insinuarsi ed insediarsi nella casa lussuosa di una famiglia di ricchi con il fine di sostituirsi a loro.

Il primo livello di lettura del film è quello che mette in luce l’enorme gap tra classi sociali, ma il film può essere analizzato anche ad un altro livello.

Il film si struttura su due piani: il mondo di sotto, sotterraneo, e quello di sopra, superficiale.

La vita della classe sociale più povera si consuma in sottosuoli senza aria, la vita dei ricchi in ambienti da sogno, perfettamente curati e di pura apparenza.

Chi abita il mondo scintillante è totalmente ignaro di ciò che si agita sotto la superficie.

La famiglia ricca, rinchiusa nel suo mondo ideale, non sa nulla del mondo da cui provengono le persone che lavorano in casa loro.

Se la vita di sopra rappresenta la parte idealizzata di sé, l’esistenza del sottosuolo riflette i moti inconsci più brutali che abitano le persone.

Una possibile lettura del film riguarda la negazione delle contraddizioni che abitano e agitano la vita psichica individuale.

Se le proprie diverse sfaccettature non vengono viste e accettate, si profilano una serie di meccanismi interni non consapevoli che generano tendenze all’agito.

La negazione di parti di sé determina una visione parziale, incompleta, idealizzata di se stessi che non permette di vedere l’altro volto di sé, quello più buio, più nascosto, più crudele.

Questo volto, comunque, si muove sotterraneamente.

Ciò che di sé non viene accolto, viene proiettato sull’altro che diventa il persecutore da annientare, l’oggetto di una profonda invidia distruttiva.

Questo è ciò che la famiglia povera prova nei confronti di quella ricca.

D’altra parte, gli effetti dell’inaccettazione e della negazione favoriscono i passaggi all’atto, ovvero l’attualizzazione di azioni che non passano per il filtro buono del pensiero e della parola.

I diversi personaggi del film agiscono una violenza dalla quale, subito dopo, si distanziano come se non gli appartenesse. Non c’è angoscia, né senso di colpa, né pensiero dopo le violenze, psicologiche e fisiche, da loro compiute. E questo si ripropone anche nella scena finale, a dimostrare che non c’è ravvedimento per i propri gesti.

Quello che accade nel film è impensabile. La trama è sconvolgente. Talmente forti e confusi sono i sentimenti che il film muove che, anche allo spettatore, risulta difficile elaborare dei pensieri immediatamente dopo la visione del film. La violenza lascia senza parole, è azione che non segue il pensiero, ma sta al posto del pensiero.

Vediamo in tutti i personaggi, nessuno escluso, un continuo e improvviso capovolgimento dei ruoli, delle parti, del buono in cattivo.

Questi ultimi sono caratterizzati da una simmetria: pur provenendo da mondi socioculturali distantissimi, nessuno di loro è esente dalla violenza, dall’ingratitudine, dall’egoismo, dall’individualismo. Tutti sono marci. Tutti sono parassiti. Tutti hanno dei sotterranei di cui non sono coscienti.

Il parassita è un organismo che vive a spese di un altro, con il quale non è in una vera relazione, ma in un rapporto parassitario, appunto, dove l’altro non è visto come altro da sé e nella sua totalità di essere umano, ma è un oggetto per raggiungere i propri egoistici scopi.






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