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  • ilariainnocenti

Creature di un giorno

Aggiornamento: 2 nov 2020

Una riflessione, a partire da uno dei casi narrati nel libro CREATURE DI UN GIORNO di Irvin D. Yalom (ed. Neri Pozza, 2015), sul rapporto tra creatività ed estetica e funzione terapeutica.


Il libro si apre con l'inquadratura di un primo incontro tra il dottor #Yalom, psicoanalista, e Paul, uno scrittore ottantaquattrenne che annuncia con una lettera il suo ingresso nello studio analitico: “Dottor Yalom, vorrei essere ricevuto per una seduta. Ho letto il suo romanzo “Le lacrime di Nietzsche” e mi chiedo se potrebbe interessarle incontrare un collega scrittore con un blocco creativo. Paul Andrews”

Un tema psicoanalitico di grande interesse, quello che riguarda la distanza tra #creatività ed #estetica (che trova nel testo Creatività e perversione di J. Chasseguet Smirgel, ed. Raffaello Cortina, 1984, un fondamentale contributo), viene da Yalom avvicinato con il suo consueto linguaggio pulito, che non perde mai di profondità, con la delicatezza descrittiva che lo contraddistingue e con quella umanità che dimostra, seduta dopo seduta, nell’incontro con il paziente.

Paul si rivolge a Yalom per un unico colloquio nel quale lo #psicoanalista possa offrirgli qualche spunto sul carteggio tra lui e il professor Claude Mueller, relatore della sua tesi sul Nietzsche poeta, che Paul non completerà mai di scrivere.

In un passaggio della corrispondenza, Paul viene descritto dal suo relatore di tesi come uno scrittore innamorato delle parole, a cui “piace danzare il valzer con loro (…). Ma le parole sono solo le note, sono le idee a formare la melodia”.

A questo, Paul risponde: “Non ingerisco e metabolizzo le parole, amo danzare con loro. Non manco mai di lasciare perplesse le persone che mi sono vicine. Quindi abbraccerò sempre la solitudine. So di fare l’errore di presumere che altri possano condividere il mio entusiasmo per le parole. Non può immaginare come ogni creatura fugga e si dilegui quando mi accosto”.

Paul “sceglie” la via delle parole inintelligibili, accostate per diletto estetico. Alla comunicazione creativa, “preferisce” la solitudine esistenziale aggrovigliata nell’estetizzazione. Si crea così un muro granitico dietro al quale si rifugia, perdendo contatto con gli altri, ma anche con se stesso.

L’unico spazio affettivo che può tollerare è quello che stabilisce con il professor Claude Mueller, per il tramite delle lettere che si scrivono. Evidentemente, questa modalità comunicativa non gli fa sentire il professore troppo vicino, ma una presenza che entra con gradualità nel suo mondo, passando dall’essere il Professor Mueller all’essere Claude.

Anche l’analista, (in una dinamica #controtransferale), fatica a entrare in relazione con Paul, a comprendere che cosa nasconda dietro le parole lapidarie e lo sguardo indurito.

Resta intrappolato in interrogativi confusi fino a quando non abbandona i dettami della tecnica per lasciarsi condurre dal paziente, virtù terapeutica sua particolare, per poi sorprendersi nello scoprire che un accenno di contatto si è stabilito.

Questa scena potrebbe essere oggetto, tra le diverse possibili, di una riflessione relativa alla posizione (neutrale o partecipata) dell’analista.

Mi sembra interessante notare, già in questo primo incontro, la partecipazione affettiva dell’analista, continuamente in contatto con se stesso e con le proprie sensazioni, in rapporto alla solitudine del paziente.

L’analista si fa condurre nel mondo di Paul e gli rivolge parole che lo toccano, per riprendere il titolo di un libro bellissimo di #Quinodoz (Le parole che toccano. Una psicoanalista impara a parlare, D. Quinodoz, ed. Borla, 2004).

Diversamente dalle parole estetizzanti chiuse in se stesse, le parole che toccano sono parole che non lasciano solo il paziente, che rompono la superficie, che avvicinano, che creano un ponte tra sé e l’altro, che è anche un ponte tra io psichico e io corporeo.

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