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Lasciare traccia: immagini dentro-immagini fuori

Aggiornamento: 30 mag 2020

La fruizione di opere d'arte all'interno di percorsi di arteterapia - metodo Anne Denner.

Scritto che ho presentato al convegno “Arte che educa, arte che cura” - Festival della Salute Mentale 2014 (Firenze).



Ammirare un'opera d’arte può rappresentare, per ogni persona, un'esperienza estetica, emotiva, perturbante. Ma la fruizione, integrata alla creazione artistica, all’interno di un percorso di arteterapia, assume una valenza del tutto particolare, rappresenta un'esperienza di qualità diversa.

Per approfondire questo tema, è necessario comprendere la specificità del metodo Anne Denner rispetto ad altre metodologie di arteterapia: il difficile compito di descrivere e operare un'integrazione tra due aree che appartengono a campi diversi della vita, quali l'arte e la terapia, così come di unire espressione ed in-pressione, creazione e fruizione.

Nella pratica dell’arteterapia, queste polarità devono stare insieme, in primis nell’arteterapeuta, perché un processo integrativo possa attivarsi anche nel paziente.

E’ per questa ragione che scriviamo arteterapia in un’unica parola.

Per parlare un linguaggio, bisogna conoscerlo.

E il linguaggio dell'arteterapia è il linguaggio delle arti visive: immagini, pittura, disegno, scultura, fotografia… materiali artistici, fare artistico. Ciò include sia la creazione che la fruizione artistica (le opere degli artisti, le loro storie, le parole che utilizzano per descrivere l’esperienza creativa): quella dinamica che consente di entrare nel mondo dell'arte, di conoscere il suo linguaggio e di poterlo utilizzare per dire qualcosa di sé.

Anne Denner sosteneva quanto sia importante portare i pazienti a vedere mostre di arte contemporanea, perché si tratta del mondo socioculturale in cui vivono...

Liana Malavasi con un gruppetto di pazienti che seguiva in arteterapia, è stata a visitare una mostra di Mirò. “Quando siamo tornati in atelier, i pazienti, sempre molto inibiti, si sono sentiti liberi di esprimersi... hanno trovato un nuovo coraggio. Si sono sentiti capiti, hanno sentito che l'artista parlava un linguaggio che apparteneva anche a loro”.

Vedere che l'artista é riuscito a trasformare il dolore in bellezza può offrire alle persone una nuova forza espressiva. Lucilla Carucci mi ha raccontato di un suo paziente che, nel visitare una mostra di arte contemporanea, le chiedeva dell’artista: “E’ vivo?”

Si parla sempre, in arteterapia, di espressione di sentimenti, di affetti, di traumi, di ricordi, di sogni e anche della personalità, tutti aspetti che hanno in comune il fatto di essere immaginati in un "dentro" della persona e che devono "uscire" per permettere un benessere. Es-primere, infatti, significa portare fuori da sé. Tale movimento dal dentro al fuori, attivato dal mezzo artistico, fa sì che la persona possa utilizzare questo canale di comunicazione per portare alla luce, far uscire da sé, far vedere o intendere delle parti di sè.

L'apprendimento del linguaggio artistico in arteterapia non serve perché le persone acquisiscano abilità artistiche, ma per aiutarle nell’espressione di se stesse.

Una volta conosciuto il codice, non è detto che la persona si esprima.

Le modalità di espressione sono infatti multiple: variano dal "passaggio all'atto", una sorta di catarsi, a pulsioni più o meno controllate, all'inibizione, fino ad blocco dell'espressione stessa.

E' necessario che l'arteterapeuta sia in grado di creare un ambiente che favorisca l’espressione: un ambiente sicuro, affettivo, costante nel tempo e nello spazio, che dia un senso di libertà e inviti a rappresentare cose personali.

Questo comprende anche il fatto che l'arteterapeuta curi il contesto di cura più ampio, si occupi dell'aspetto istituzionale, colleghi le persone curanti, si preoccupi del rapporto tra lui e il paziente e faccia sì che questi comprenda che cos'è l’arteterapia e a che cosa serve.

Per aiutare la persona a sviluppare questa capacità espressiva, notiamo la centralità dell'aspetto relazionale dell'espressione, il che significa che, per dire qualcosa di molto profondo e personale, deve avere qualcuno che si interessi a lei, al suo problema, altrimenti non dirà nulla o solo cose di superficie. E' chiaro che l'espressione implica "l'altro"; in assenza dell'altro, ciò che dovrebbe esprimersi resterà chiuso dentro se stessi.

Per questo, l’espressione deve sempre implicare la comunicazione con un’altra persona.

E’ fondamentale che il messaggio espressivo del paziente non cada nel vuoto, ma venga raccolto e compreso dall'arteterapeuta e gli venga offerta una buona “risposta”. L'arteterapia è nata per questa esigenza: cercare di comprendere quei pazienti in difficoltà a raccontarsi con la parola e non lasciare inascoltati i loro messaggi urlati attraverso le loro pitture libere (nei manicomi, i pazienti potevano dipingere tutta la vita senza avere alcun cambiamento nella loro malattia, se nessuno ascoltava i loro messaggi).

Qualche anno fa, ho accompagnato un piccolo gruppo di persone di una comunità a vedere una mostra sui ritratti. Avevo fatto un lavoro di preparazione su alcune opere, selezionate perché mi sembravano significative per loro. Ricordo che una paziente, in particolare, era rimasta molto colpita da una di queste opere: raffigurava la contessa Spini, donna ribelle, anticonformista, qualità che si deducevano da una serie di elementi dell’opera. Quando ci siamo viste in atelier, dopo alcuni giorni, la paziente parlava di questa donna vecchia, con una particolare espressione del volto, quell’espressione che per molti sarebbe di pazzia... Una contessa che nell’800 fumava tabacco, leggeva, era brutta e non si era sposata ha avuto un suo luogo in un’opera d’arte! Questo ha permesso alla paziente di aprire un racconto su di sé, sulla sua passione abbandonata di suonare il piano, ma anche sull’uso di droghe... temi di cui non aveva mai parlato prima, cercando di mostrare ai curanti un lato di sé idealizzato per rendersi amabile.

Cosa ci dicono questi esempi di fruizione di opere d’arte che hanno aiutato i pazienti ad aprirsi, a esprimersi con più coraggio? Qual è il fattore terapeutico? E’ bastato il fatto di portarli a vedere una mostra?

Quando si parla di espressione, si parla anche di una realtà fuori da sé; dunque, è importante sapere come possiamo, in arteterapia, aiutare il paziente a riorganizzare questa relazione difficile con il mondo esterno, aspetto strettamente collegato alla capacità di entrare in relazione con il proprio mondo interno.

Anne Denner propone il concetto di in-pressione. In arteterapia, il far uscire è solo una parte del processo. L’in-pressione è il movimento contrario rispetto all'espressione: significa che un elemento esterno lascia una specie di traccia dentro. Come si costruisce questa realtà interna? Come avviene che quell'oggetto che è fuori entri nella mente e che è anche il centro dell'attività terapeutica che facciamo per mezzo dell'arte?

Questo è un processo che prende avvio molto presto nella vita personale, a partire dalla precocissima relazione madre-bambino. Semplificando, si può dire che, se il legame affettivo tra madre e bambino non è sufficientemente buono, l'introiezione dell'oggetto sarà perturbata e dunque risulterà difficile il delinearsi di un confine tra interno ed esterno, quindi, la definizione della propria identità e il riconoscimento di una realtà esterna a sé (Winnicott, 1971). Questo ci fa intuire come, perché in-pressione avvenga, perché sia possibile il processo di uscire ed entrare, è necessario che esista quella lineetta. Qualcosa che leghi dentro e fuori. Non esistono in-pressioni senza quel contesto affettivo-relazionale che presiede a tutte le possibili integrazioni dell'informazione. Tornando al processo di espressione-in-pressione in arteterapia, si capisce che entrambi i poli non possono prescindere dalla relazione con l’arteterapeuta mediata dal fare artistico.

Questo discorso ci riporta al tema dell'integrazione di percorsi di fruizione artistica all'interno di percorsi di arteterapia. Ciò che viene proposto in arteterapia deve avere sempre un significato: l'opportunità di portare un paziente a visitare un museo o una mostra, così come di usare un materiale artistico piuttosto che un altro, non va scartata o accettata a priori ma deve essere valutata in base al livello evolutivo del paziente, alle sue tematiche, alla sua storia, al processo terapeutico in atto...

Tutta la dinamica artistica in arteterapia deve aiutare il processo di trasformazione dell'oggetto, creato e fruito, da an-estetico ad estetizzato cioè affettivamente connotato. E' questo che significa che l'oggetto ha lasciato una traccia, è stato in-presso. Ciò può valere anche per l’in-pressione lasciata da un'opera d'arte, che può stabilire nello psichismo una traccia indelebile dalle tonalità più svariate, dal piacere al dispiacere, ma non lascia nell'indifferenza, cioè senza affetti. Perché l'oggetto realizzato e quello fruito sia affettivo e integrabile nella personalità, è necessario che l'arteterapeuta sia il contenitore di quanto l'oggetto può dire al paziente, per aiutarlo poi, gradualmente, a lasciarsi parlare direttamente dalla propria creazione. Ecco che un processo creativo (di espressione ed in-pressione) ha avuto luogo.

Anne Denner racconta un’esperienza molto significativa che ha osservato a Parigi nell'ospedale psichiatrico per pazienti cronici gravissimi dove lavorava. Un'arteterapeuta, sua allieva e collega, aveva creato un atelier accogliente e raccolto questi pazienti. Qui, questi pazienti così sofferenti prendevano piccoli pezzi di creta e li lavoravano nelle sue mani. "E' stato un fatto che mi ha emozionato enormemente, perché questi pazienti così degradati hanno incominciato a lavorare nelle sue mani, in presenza di questo aspetto affettivo molto forte... e mi ricordo di uno che ha messo la propria mano sulla sua testa per ringraziarla. Più avanti, la collega cominciava a far sentire l'acqua sulla loro pelle, faceva colare sulle loro mani l’acqua… poca… poi un po' di più… calda… fredda… loro cominciavano a guardarsi la mano come chiedendosi cosa fosse questa mano: hanno cioè cominciato ad integrare, a far entrare nella propria mente quest'immagine dell'oggetto esterno e del proprio corpo. A questo punto, questi pazienti gravissimi hanno cominciato a capire cos'era un oggetto, ed è attraverso l'oggetto che si costruisce la propria identità; hanno incominciato a sentire una piccola esistenza per conto proprio".

Lucilla Carucci accompagna un suo paziente a vedere una mostra di Kandinsky perché pensa che per lui vedere le opere di questo artista, insieme a lei che è la sua arteterapeuta, possa avere un significato molto importante. Questa persona, durante tutta la visita alla mostra, non guarda alcuna opera, ma fissa Lucilla che osserva i dipinti. Quando, nei giorni successivi, si vedono in atelier, il paziente le descrive dettagliatamente i quadri come se li avesse visti, come se fossero entrati in lui. In realtà, la sua arteterapeuta è stata il contenitore che gli ha permesso di relazionarsi con l’opera, divenuta ora la sua opera.

Da questo scorcio, si intravede molto bene l’integrazione tra terapia e arte che l’arteterapeuta raccoglie in sé. La conoscenza che ha per l’arte, ma soprattutto la passione che ha per questa, oltre al pensiero per il suo paziente, fanno sentire a quest’ultimo che esiste un linguaggio comune e che ciò che si fa è qualcosa di pensato per lui. Proprio per questo, credo che il paziente abbia assorbito così profondamente questa esperienza: immagini esterne sono potute diventare interne, perché, come la madre con il bambino piccolo, l’arteterapeuta prende dentro di sé un’immagine esterna e la restituisce accettabile (Bion, 1962). Questa può così diventare per il paziente un’immagine interna che lascia una traccia.


NOTE

Anne Denner (Parigi 1928 - Parigi 2002) psicologa, arteterapeuta e fondatrice, insieme a Liana Malavasi, della scuola di formazione in arteterapia C.R.E.T.E. di Firenze.

Liana Malavasi, psicoterapeuta, arteterapeuta, presidente di C.R.E.T.E.

Lucilla Carucci, architetto, artista, arteterapeuta di C.R.E.T.E.

BIBLIOGRAFIA

Bion W., 1962, Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma

Denner A., Malavasi L., 2002, Arteterapia: metodologia e ricerca. Atelier terapeutici di espressione plastica, LibriLiberi, Firenze

Giordano E., 2008, Fare arteterapia, Cosmopolis, Torino

Winnicott D. W., 1971, Gioco e realtà, Armando, Roma


Immagine: Arches of The Bridge Stepping Out Of Line, P. Klee

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